La mungitrice decise di sbarazzarsi del bambino — per dispetto al fidanzato che l’aveva lasciata. Ma non appena varcò la soglia della casa della guaritrice, si bloccò.

STORIE DI VITA

— Kolja… ho paura… — sussurrò Lera, aggrappandosi all’orlo del suo semplice vestito.

La sua voce tremava come una foglia al vento d’autunno, e i suoi occhi — pieni di lacrime e angoscia — guardavano Kolja imploranti.

Non chiedevano solo sostegno — chiedevano salvezza.

— Di cosa hai paura? — chiese lui con dolcezza, abbracciandola per le spalle.

— Tra un mese ci sposiamo. È già tutto deciso.

Lo sanno tutti. Saremo una famiglia.

— E se tu cambiassi idea?… — mormorò lei con dolore nella voce.

— E se te ne andassi?… Cosa farò io, da sola, con un bambino?

— Sciocchina mia, — sorrise lui, baciandola sulla fronte.

— Se sarà un maschio, andremo insieme a pescare, gli insegneremo ad essere onesto e forte.

E se sarà una femmina — sarà per te una gioia, una mano, una luce.

— E se un giorno cercherà suo padre?…

— Lo troverà. Io sarò suo padre. Presto porterai il mio cognome e sarai mia moglie.

Non avrai più paura. Te lo prometto.

Lui la baciò con tenerezza, come la prima volta — mettendo in quel bacio tutta la profondità delle sue parole.

Poi saltò oltre la recinzione e sparì nel silenzio del villaggio, dove le ultime luci si spegnevano.

Tutto si era fatto quieto — solo un latrare lontano e il fruscio delle foglie ricordavano che la notte era vicina.

Kolja camminava per la strada con le mani in tasca. Un lieve sorriso sulle labbra.

Lavorava nei campi — pagavano bene. Bastava non solo per mangiare, ma anche per sognare: un tetto nuovo, un vestito per Lera, una carrozzina.

Il capo gli aveva concesso un paio di giorni liberi — poteva riposarsi e preparare il matrimonio.

Tutto sembrava chiaro come una mattina d’estate.

Ma d’improvviso notò una sconosciuta sul ciglio della strada. Era di città — si capiva subito. Pantaloni attillati, sigaretta, sguardo provocante.

Sembrava fuori luogo in quel paesaggio rurale, come se avesse portato con sé una tempesta.

— Ciao bella! — sorrise lui fermandosi. — Da dove vieni?

— Ma guarda che gentilezza da queste parti! — disse lei, soffiando via il fumo.

— E tu, non ti hanno insegnato l’educazione? Almeno dimmi il nome.

— Kolja. E tu?

— Marina, — rispose lei. — C’è qualche posto dove divertirsi qui?

Sto morendo di noia.

— Il sabato ci sono balli al club, — rispose Kolja con una scrollata di spalle.

— Ma io non voglio sabato, voglio adesso! Subito!

— Adesso?… Beh… allora vieni da me. È tranquillo, nessuno ci disturba.

— Vieni tu da me. Ho affittato una casetta da una vecchia — è vicino.

Dopo un quarto d’ora erano già seduti in una stanza fresca.

Vino, candele, musica su un vecchio giradischi.

Marina lo guardava con sfida, con uno sguardo che bruciava non solo di passione, ma di provocazione, di desiderio di infrangere le regole.

— Balliamo? — propose lei.

— Dai, — rispose lui, stringendola a sé.

E il ballo, la musica, l’intimità — tutto sembrava un incubo seducente.

Pericoloso, confuso, irresistibile.

Al mattino si svegliò sudato freddo.

Si vestì in fretta e uscì come un fuggiasco.

Presto sarebbero iniziate le mungiture mattutine, le donne sarebbero andate alla stalla… Correvano i suoi passi, e il cuore si stringeva.

Come aveva potuto? Lera lo aspettava, portava in grembo il loro bambino…

Ma la sera tornò di nuovo. Marina stava per partire — era la sua “ultima debolezza”. L’ultimo errore. L’ultima volta.

Nel frattempo, alla fattoria, una delle mungitrici disse ridendo:

— Lera, il tuo Kolja non ha dormito a casa stanotte. Era dalla forestiera.

— Non ci credo! — gridò Lera. Il secchio cadde di mano e rotolò sul pavimento.

— Nessuno mente. Dicono sia partito con lei in città.

Ti ha lasciata — incinta. Ecco.

Quelle parole le trafissero il cuore. Lera corse a casa di Kolja. La porta chiusa. Sua madre era seduta al tavolo, gli occhi gonfi.

— Se n’è andato… — sussurrò. — Con lei. In città.

Lera scivolò a terra, scorrendo lungo il muro come un albero abbattuto.

Tutto crollava. Un ronzio nelle orecchie. Pensieri: vergogna… solitudine… come vivere adesso?

Corse a casa, si strappò di dosso la vestaglia — come a voler strappare via la vergogna dalla pelle.

Il cuore batteva forte, la mente era in tumulto. Ma sapeva dove andare.

Nel villaggio viveva Valja — una guaritrice, nei cui occhi si nascondeva un’antica saggezza.

A lei si andava quando c’era una disgrazia.

Lera, in lacrime, irruppe in casa.

— Mamma, mi ha lasciata… È andato via… con un’altra…

— E tu? E il bambino? — sussurrò la madre spaventata.

Il padre uscì dalla stanza, il volto di pietra.

— Se lo trovo — lo uccido! — ringhiò stringendo i pugni.

— Mamma, vado da Valja. Dì alla stalla che non ci sarò…

— Vai, figlia mia… Vai…

Un’ora dopo, era sulla soglia.

— Entra, cara. Siediti, parliamo, beviamo un po’ di tè, — disse Valja, come se già sapesse tutto.

Rimasero in silenzio a lungo. Poi l’anziana chiese:

— Perché sei venuta?

E Lera raccontò tutto — senza nascondere nulla. Lacrime, dolore, disperazione.

Valja le versò un infuso amaro, forte. Dopo pochi minuti, le palpebre le si fecero pesanti e si addormentò.

Nel sogno — un fiume. Il bambino affoga, la chiama. Ma lei non riesce a muoversi. Urla — ma senza voce.

Poi uno spruzzo — e silenzio.

Si svegliò in lacrime.

— Allora, hai deciso? — chiese Valja. — Lo terrai?

Lera rimase in silenzio. Poi, piano:

— No… È parte di me. Non posso uccidere.

— Brava, — annuì Valja. — Torna a casa. Sei forte. Non sei sola.

E Lera tornò. Con la schiena dritta. Aveva ancora tanta strada davanti.

Ma sapeva — ce l’avrebbe fatta. Da sola. Per la vita che portava dentro.

Dopo nove mesi nacque un maschietto — forte, sano, con una voce potente.

I genitori andarono a prenderla all’ospedale. E il giorno dopo arrivò la madre di Kolja — con un fagotto pieno di pannolini.

— Permettimi… di vedere mio nipote… Sono sua nonna…

Lera rimase in silenzio, poi le porse il neonato. La donna lo strinse al petto:

— Sangue del mio sangue… La nonna ti vuole bene…

Due mesi dopo tornò Kolja. La città l’aveva respinto.

Marina era sparita. Si lamentava con gli amici:

— Non è una donna di casa… Ha solo voglia di divertirsi!

— Se fossi rimasto con Lera, tutto sarebbe stato diverso, — gli risposero.

— Ma lei mi perdonerà! — fece spallucce.

— No. Si sta per sposare. Ha dato al figlio il cognome del nuovo marito. Ha una nuova vita.

La madre lo accolse in silenzio. Gli servì il tè. Poi mise la valigia sul portico:

— Torna da dove sei venuto. Qui sei uno straniero.

Hai tradito — e non sei tu a dover chiedere perdono.

Una settimana dopo, nel villaggio c’era festa — un matrimonio.

Lera camminava verso l’altare con il bambino tra le braccia, in un abito splendente, accanto all’uomo che amava.

Suo figlio ora aveva tre nonne — la sua, Valja, e la madre di Kolja. Tutte piangevano — di felicità.

La vita andava avanti.

Solida. Onesta. Luminosa.

E in questo stava la sua forza.

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